Francesco insegnaci a pregare
L'angelo indica con l'indice della mano destra il primo uomo ai suoi piedi e l'indice della mano sinistra in cielo
di Elvio LunghiSiamo arrivati alla conclusione della terza campata, nono episodio della vita di san Francesco. Alza gli occhi e guarda: cosa vedi? Vedo al centro un uomo vestito di sacco, in ginocchio sopra un gradino di marmo, davanti a una bellissima edicola dalle pareti incrostate di mosaici, con dentro un altare con sopra una minuscola croce; l'altare è illuminato da una lampada. Alle sue spalle vedo un secondo uomo vestito di sacco a terra in ginocchio; alza lo sguardo e indica in alto un angelo in forma di uomo che si è alzato in volo sorretto da ali.
L'angelo indica con l'indice della mano destra il primo uomo ai suoi piedi e punta l'indice della mano sinistra in direzione del cielo, dove appaiono cinque troni disposti in fila. Indica il trono centrale, il più grande e il più bello. L'uomo che prega davanti all'altare ha il capo circondato da un disco dorato, che lo identifica per un santo, un uomo giusto. La sua identità ci è rivelata da una iscrizione che è scritta nella cornice sottostante: "Quando apparve a un frate una visione celeste, e gli furono mostrati in cielo molti troni, tra i quali ve n’era uno più sontuoso degli altri, e udì una voce che gli diceva: questo trono appartenne a uno degli angeli ribelli, e ora è riservato all’umile Francesco".
La storia ritratta è presente nella Legenda Maior di san Bonaventura, dove si racconta di quando un frate accompagnò Francesco in viaggio. Entrati per pregare in una chiesa abbandonata, il compagno di Francesco fu rapito in estasi, vide in cielo molti seggi, tra i quali ve n'era uno più splendido e glorioso, e udì una voce che diceva "Questo trono era di uno degli angeli cacciati dal Paradiso e è destinato a Francesco per la sua umiltà".
Lo stesso episodio, ma più dettagliato, è presente nella Vita secunda di Tommaso da Celano, e con notizie più precise nella Legenda antiqua che i frati conservavano un tempo nella biblioteca del Sacro Convento, e ora è a Perugia. Vi si narra di quando Francesco percorse la valle spoletana in compagnia di fra Pacifico, il re dei versi. Si fermarono nel lebbrosario di Trevi e da lì raggiunsero la chiesa di San Pietro di Bovara. La chiesa esiste ancora, è uno splendido esempio di romanico umbro, conserva al suo interno un Crocifisso, benché non del tempo di Francesco ma di un secolo successivo.
Francesco volle passare la notte in preghiera all'interno della chiesa e pregò il suo compagno di lasciarlo solo, ma una volta completato l'ufficio non riuscì a prendere sonno perché coinvolto da una tentazione diabolica, che riuscì a sconfiggere solo dopo aver fatto il segno di croce. Allo spuntare del giorno fra Pacifico tornò dall'ospedale e trovò Francesco in preghiera davanti all'altare all'interno del coro. Il compagno restò in attesa davanti al Crocifisso all'esterno del coro quando fu elevato in estasi e vide molti troni in cielo, tra i quali ve n'era uno più bello e raggiante, mentre una voce diceva "Questo trono fu di Lucifero, ora è destinato a Francesco".
Il responsabile dell'invenzione di questo quadro doveva aver letto entrambi i racconti, perché nel dipinto c'è tanto di Bonaventura e tanto dell'autore della Legenda antiqua. Chissà chi scrisse questi ricordi, intercalati dalla frase "noi che fummo con lui"? Forse Leone, forse Rufino, forse Angelo, forse Ginepro, forse Pacifico, il re dei versi che mise in musica il cantico di frate Sole. Il lui è Francesco, gli altri i primi compagni che ne condivisero la scelta di una vita cristiana a partire dal tugurio di Rivotorto, alle cui pareti Francesco aveva segnato il nome di ciascun compagno perché avesse un posto dove pregare.
Fu a Rivotorto - racconta Bonaventura - che Francesco insegnò ai suoi frati a pregare; "ma perché non avevano ancora libri da chiesa, sui quali recitare le ore canoniche, al posto dei libri, fissandovi ininterrottamente lo sguardo, sfogliavano e risfogliavano il libro della croce di Cristo, giorno e notte, istruiti dall'esempio e dalla parola del padre". O anche dicevano "Ti adoriamo, o Cristo, in tutte le tue chiese che sono in tutto il mondo, e ti benediciamo perché, per mezzo della tua santa croce, hai redento il mondo" (LegM IV, 3).
Lo puoi vedere in questo affresco di Giotto alle pareti della sua chiesa di Assisi, che ritrae san Francesco mentre prega davanti a una croce, posta sopra un altare, mentre in cielo si apparecchia un trono per lui. Eppure l'ambientazione è perfettamente realistica, come si conviene al resoconto di un miracolo.
L’altare di fronte al quale è inginocchiato Francesco è un documento prezioso sull’arredo liturgico di una chiesa medievale: un plinto isolato al centro di un’abside, sopra un gradino di marmi mosaicati, servito da una predella in legno con balaustri torniti, il paliotto di stoffa damascata, la mensa coperta da una tovaglia in lino ricamata con un filo color indaco, la croce d‘altare in metallo dorato con le estremità trilobate e priva del Cristo in rilievo.
Corrisponde al reale anche il sistema d’illuminazione, con un lampadario in metallo che porta sei gabate, cioè coppette in vetro per l’olio, appese a due cerchi saldati a due aste incrociate, con un anello nell’intersezione per collegarlo a una corda, che consenta di alzare e abbassare il lampadario per il tramite di una carrucola appesa al soffitto a cassettoni. Tutto diventa vero, anche Francesco che prega.
Elvio Lunghi
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