I miei 2.359 giorni sotto scorta ma ora vedo il riscatto di una città
Quando tutto questo è cominciato, nel 2013, sembrava impossibile arrivare a oggi. E invece questo 24 settembre 2019 è arrivato: un giudice ha pronunciato la sua condanna per associazione a delinquere di stampo mafioso nei confronti della famiglia Spada. Tre ergastoli per i boss Carmine, Roberto e Ottavio. Il primo nel 2013 ha fatto il segno della croce al mio primogenito. Aveva solo 8 anni, Lorenzo, quando il boss gli promise la morte sperando di ottenere il mio silenzio e spuntare la mia penna. Sei anni fa sulle pagine di Repubblica scrissi che quel clan era mafia. In pochi, allora, ci credevano. «Questa non è mafia, sono criminali e basta. La mafia a Roma non esiste, ma che ne sai tu di cosa è la mafia?». Me lo dicevano in tanti. E mentre quei tanti indicavano me come la visionaria, io continuavo a guardare e a raccontare come la famiglia Spada teneva in ginocchio Ostia, il mare di Roma, con le sue dinamiche violente, feroci, crudeli. Mafiose. Più scrivevo di loro, più l’asticella delle minacce si alzava: benzina sotto la porta di casa, proiettili, urla di morte sotto il balcone, pedinamenti ai miei figli, promesse di ritorsioni verso i miei tre bambini. Cosi sono trascorsi 2.359 giorni sotto scorta, senza libertà, con la paura di dover pagare, o peggio ancora di dover far pagare alla mia famiglia il prezzo di una scelta molto difficile. Una scelta che ti fa sentire ostinatamente sola. Guai però a fare un passo indietro. Se è vero, come diceva Falcone, che la mafia è un fenomeno umano e come tale ha un inizio e una fine, allora questa fine dovevo per forza vederla. Anche in nome di coloro che ci hanno creduto ma non hanno fatto in tempo a vederla. Questo giorno per me è arrivato. Ma mi sorpreso. Pensavo fosse la sentenza per mafia a stabilire la parola fine e a decretare la mia “vittoria” professionale e umana. E invece no. La vittoria è stata vedere tantissimi cittadini di Ostia nell’aula bunker di Rebibbia fino alle 21 ad aspettare il verdetto. Quando questo processo è cominciato ero sola in aula. Ieri Ostia ha rialzato la testa, non ha avuto più paura del clan Spada. I cittadini erano lì, seduti accanto ai familiari degli imputati, ad ascoltare quanto tutto possa ancora cambiare, quanto è falso che le cose non cambino. Ecco, questa è la vera sfida che un giornalista — e una mamma — deve poter vincere. Ed è stata questa la prima cosa che ho detto ai miei figli quando mi hanno chiesto com’era andato il processo. Ostia non ha più paura, abbiamo vinto.
di Federica Angeli - Repubblica
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