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Isgrò, 'Arte e Dio speranza per l'uomo'

di Redazione

L’Arte ha sempre dialogato con Dio. Ed Emilio Isgrò, artista contemporaneo, può essere una testimonianza di questa dialogo che continua nei secoli. Da quegli affreschi di Giotto della Basilica di Assisi, che esprimono l’ineffabile respiro dell’Uomo che si fa un tutt’uno con Dio. E oggi, proprio ad Assisi, è atteso l’incontro con il Maestro, con il suo pensiero, grazie alla conferenza dal titolo, “Quel che resta di Dio”. Laboratorio-casa a Milano. Questo il luogo in cui il Maestro Isgrò lavora, immagina e – in una certa misura – “prega” i suoi lavoro. La casa parla sempre della vita di un uomo, e delle sue opere. Milano, la città in cui vive dalla metà degli anni Cinquanta, eccezion fatta per il periodo in cui, non ancora trentenne, ha diretto le pagine culturali del Gazzettino di Venezia. Dalla strada vengono le ultime voci dei bambini in uscita da una scuola lì accanto. Emilio Isgrò è uno tra i più famosi artisti contemporanei italiani, lo dicono tutti. Le sue cancellature hanno fatto la storia, ma in molti si chiedono come la cancellatura di una parola possa essere considerata arte. Cerchiamo, ora, di comprendere il suo concetto (perché di concetto si tratta) dell’Arte. Lo aveva espresso, da poco, su una intervista su “Avvenire”. Leggiamo le sue parole, per capirlo meglio. “Sotto la cancellatura, la parola non scompare, ma continua a brulicare con più forza. Non si cancella per negare il testo, ma per capirne meglio il significato, per accorgersi di che cosa c’era prima. È un modo per esaltare la parola, non per contestarla. Questo, del resto, è il senso del mio Cristo cancellatore, ora entrato nella collezione permanente del Centre Pompidou a Parigi. Attribuire al Cristo la facoltà di cancellare significa riconoscere in Lui il giustiziere e, nello stesso tempo, il redentore. In maniera più o meno consapevole, si cancella sempre per mettere in salvo, per custodire”. Isgrò, poi affronta la trascendenza. Questa, parola che ha nel suo DNA il confronto con l’Infinito, con gli spazi “invisibili” del Cosmo e dell’Uomo. “L’interrogativo sulla trascendenza è presente da sempre nel mio lavoro. In forma un po’ intermittente, lo ammetto. Ma chi si interroga sulle parole e sulle immagini non può fare a meno di chiedersi se e come la ragione possa mai cancellare la fede”.



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