Padre Mauro Gambetti, seguire le orme di Francesco: umiltà e gratuità
di Redazione
Raccogliere alcune provocazioni, alcuni stimoli. Non è facile però prendere la parola – ha detto il Custode del sacro Convento di Assisi, padre Mauro Gambetti a margine dell’esibizione all’interno della Basilica del maestro Giannini – dopo questi capolavori in musica e in versi che abbiamo ascoltato, ma forse uno spazio anche di sedimentazione di quello che abbiamo udito è utile ad arricchirci.
Incontro. In questo Cortile abbiamo osato mettere a tema il principio più vitale dell’esistenza, perché il senso dell’esistere è significato negli altri e chi non vive l’incontro, muore per sempre. Eneide. L’unico mare stretto tra le terre, il Mediterraneo, per Virgilio è un luogo naturale di incontri. Il Mar Mediterraneo rivela che tutte le terre sono un’unica terra e che i tanti popoli infondo sono un unico popolo, il cui volto cambia con il muoversi delle genti e si rinnova quando arriva qualcuno. L’ospite, come Enea, magari istruito dalla distruzione che ha sperimentato o spinto da desideri che la troppa tranquillità inibisce, ha uno sguardo libero, guarda il mondo che incontra in modo nuovo. Vede ed offre possibilità di futuro a chi si è abituato agli stessi paesaggi. Enea non si è ferma con Didone si spinge oltre, da questa freschezza di chi si muove, cerca freschezza e vita, i popoli vengono rinnovati soprattutto quando invecchiati e impigriti nell’errare di Enea tutte le grandi civiltà vengono coinvolte ed egli viene portatore di tanti popoli che come tessere di un arazzo comporranno la bellissima Roma, la quale forse, non poteva che essere figlia di tanti popoli. Infondo la storia umana è la rete tessuta dall’incontro dei popoli. Non mancano i conflitti, e gli scontri perché sempre l’altro inquieta o perché si teme di perdere qualcosa che si ha, ma la terra non è fatta per essere conquistata o espropriata quanto invece è fatta per essere condivisa e nessuno potrà impedire ai popoli di muoversi e mescolarsi per generare nuova vita.
Cantico di Frate Sole. Fa venire i brividi ogni volta, da dove nasce? Come narra Tommaso da Celano Francesco nel tempo in cui aveva già cominciato per grazia e potenza dell’Altissimo ad avere pensieri santi e salutari, mentre era ancora mondano, un giorno incontrò un lebbroso, fece violenza a se stesso, gli si avvicinò e lo baciò. E’ un INCONTRO che cambiò la vita del giovane assisiate, come egli stesso ricorda nel suo testamento, dopo quell’incontro ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. Si avviò così un processo che non si arresterà se non alla fine della vita del Santo. Francesco smise di adorare se stesso. Senza attendersi un contraccambio di alcun genere iniziò ad uscire INCONTRO all’altro, fino ad essere l’ALTRO. Qui credo abbia avuto inizio la stesura del Cantico di frate Sole che Francesco completerà quando ormai cieco e sofferente sarà vicino alla morte. Il Cantico narra il mondo da questo nuovo punto di vista, la presenza dell’altro, possibilità di relazione, di vita è il luogo dove appare il primo significante, ovvero la chiamata e la provocazione del desiderio. Dio, la natura, gli altri, il lebbroso, se stesso, la morte è lo stupore della temporale e dell’illimitato e della relazione che si concretizza in ogni possibile incontro a tessere le strofe del Cantico. Francesco ha scoperto di essere creatura in mezzo a molte creature stretto insieme in una rete di relazioni inestricabili che piano piano hanno trasformato il suo sguardo. Vuole essere sottomesso a tutto e tutti perché è attratto dalla bellezza di ciascuno, non vuole distinguersi perché è se stesso solo se insieme a tutte le altre creature. In questo intreccio di corpi, di anime di aria, di luce, di fuoco e acqua nell’esperienza della materia plasmata in mille modi diversi, Francesco avverte vibrare la presenza del Dio vivente, un Dio che si impasta con le creature che ama. Il sole rappresenta l’Altissimo che splende su tutto, la Terra nell’immediato riflesso. E mentre il sole riscalda da lontano la madre Terra nutre silenziosa e umile facendo spazio, lasciandosi prendere risorse e trasformando in vita tutto ciò che muore. Così agisce il Dio dei Vangeli. Nel Corpo di Gesù, nel pane che nutre, nel fratello che soffre e che ama, nel creato che grida: “Mi ha fatto per te uomo, custodiscimi”. E così Francesco lo riconosce concretamente presente. Nel Cantico tutto ciò che esiste si rivolge agli altri esseri per offrire quello che consente loro di vivere. Persino la morte entra in questo dinamismo di vita senza fine. Al culmine della propria fragilità quando ormai la vita si spegne in lui Francesco si farà deporre nudo sulla terra nuda e rivolgerà lo sguardo al cielo, è la consegna definitiva di sé per entrare definitivamente nel grembo stesso di Dio che continuamente rimette al mondo quelli che ama, per questo Francesco è vivo.
L’infinito. Solitudine e silenzio. Le sterminate distese dell’interiorità riemergono su un colle tanto caro, dove risuona il ricordo della voce materna, il profumo di uno stanza, le note di una canzone o il paesaggio sempre uguale che ci ha fatto compagnia nella crescita. Il nostro spazio interiore poggia su un pezzetto di ricordo e di mondo che amiamo intorno al quale vi è una siepe che traccia il confine, rassicura ma assedia lo sguardo. Ciascuno abita luoghi limitati, città, relazioni, case, territori che sono punti di riferimento e delimitano un orizzonte nel quale ci si muove con dimestichezza, con agio. Ma la siepe stringe ed è l’ultimo orizzonte, il guardo esclude. Sorprendentemente proprio questo piccolo spazio del sé che ci limita ed amiamo, ci apre all’infinito, non c’è persona che non colga almeno per un attimo l’eccedenza dell’esistenza umana. Siamo afferrati dalle piccole cose e allo stesso tempo spinti a dilatare il nostro sguardo, i nostri interessi. Fino a desiderare di conoscere tutto. Di essere in qualche modo in tutto. Così nutrendo il percorso interiore sconfinato che conduce alla soglia del mistero, il sovvenire conduce all’incontro con l’altro, il divino. Eterno. E il naufragare nel mare sul quale si affacciano tutte le nostre terre di naufraghi e viaggiatori, conduce all’incontro con tutti gli esseri umani. Ed è dolce incontrarsi.
Affinché tutti come Francesco possiamo vivere in eterno vorrei concludere condividendo due perle evangeliche, due orme che Francesco ha lasciato. La prima orma: l’umiltà. La superbia conduce all’affermazione dell’Io, all’auto determinazione, alla propria realizzazione, a discapito dell’altro. L’umiltà invece spinge ad uscire da sé per rivolgersi all’altro, rinnega l’Io per conoscere il tu, vuole abbassare l’Io per far emergere la bellezza del prossimo. L’umiltà cerca sempre la relazione così favorisce lo schiudersi e il proporsi del sé, vero fondamento dell’esserci. In tal modo mentre il superbo è isolato e schiacciato nel proprio Io, l’umile viene esaltato. Seconda orma: la gratuità. L’egoismo rafforza gli istinti dell’uomo che per gratificare l’Io diventa accidioso, goloso, invidioso, avaro, lussurioso, fino all’abbruttimento di sé e alla mancanza di rispetto per gli altri. La gratuità comincia dalla gratitudine ti fa rallegrare per i doni ricevuti, ma poi ti fa sperimentare la felicità del donare. Si educa attraverso la condivisione delle risorse, dei talenti, del tempo. La gratuità rinuncia a riempire l’Io e ricerca la comunione, il noi fino a dar vita alla fraternità. Lo spirito della fraternità si fonda sullo spirito della gratuità e di esse si nutre e mentre chiede all’IO di espropriarsi restituisce al sé la perla preziosa e inestimabile della gioia. L’augurio è di mettere sempre più i nostri piedi in queste due orme di Francesco, umiltà e gratuità per giungere di incontro in incontro a cantare con Francesco il cantico di Frate sole.
Redazione
Commenti dei lettori
NON CI SONO COMMENTI PER QUESTO ARTICOLO
Lascia tu il primo commento
Lascia il tuo commento
la cripta
di San Francesco
Rivista
San Francesco