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Parla il cappellano. «A Poggioreale situazione di disumanità»

Credit Foto - Avvenire

È scappato un detenuto da Poggioreale, embè? Perché stupirsi davanti a una evasione dal carcere? È la cosa più naturale che possa accadere. Quello che è innaturale è tenere rinchiuse delle persone in una situazione disumana e degradante ». Don Franco Esposito, cappellano di Poggioreale, ha affidato a un post durissimo su Facebook il suo pensiero in merito alla rocambolesca evasione del detenuto polacco 32enne Robert Lisowski, avvenuta domenica mattina nel penitenziario napoletano: una fuga breve, il detenuto è stato ricatturato ieri sera. Accanto alla foto del lenzuolo appeso – così, calandosi dal muro di cinta, è scappato il senza fissa dimora in carcere con l’accusa di aver assassinato un cittadino ucraino – i giornali hanno affiancato titoli sul “record” della prima fuga dopo 100 anni. Ma di “record”, il carcere più sovraffollato d’Italia, ne conta ben altri. E «da un albero cattivo non possono nascere frutti buoni».

Don Franco, il suo commento all’evasione però, che tra l’altro è avvenuta proprio dopo la Messa da lei celebrata, ha fatto discutere. Nel migliore dei casi è stato ritenuto provocatorio, nel peggiore addirittura offensivo della famiglia del cittadino ucraino ammazzato dal detenuto evaso. 


In questo momento io intendo solo tenere alta l’attenzione sulle condizioni gravissime in cui versa il carcere di Poggioreale. Parliamo di un istituto penitenziario nel quale ci sono quasi mille detenuti in più rispetto alla capienza prevista. Questo rende impossibile qualsiasi tentativo di renderlo vivibile. La presenza nostra come Chiesa o di psicologi, educatori, volontari si scontra con l’impossibilità di incidere in una realtà così sovraffollata e caotica. Una realtà indifendibile.

Negli ultimi mesi d’altronde a Poggioreale si sono registrate diverse rivolte. Dopo l’ultima, settimana scorsa, è seguita una durissima relazione del Garante nazionale dei detenuti sulle condizioni del penitenziario. 


Il Garante dei detenuti fa il suo lavoro. Ciò che ha scritto è vero. Ma anche la direttrice Maria Luisa Palma – il cui operato è stato messo in discussione dalla presa di posizione del Ga-« rante – lavora in modo egregio, e così la polizia penitenziaria, i volontari ecc. Ma questo non basta a fare di Poggioreale un luogo umano. Ho sentito persino dire da qualcuno, in queste ore, che la colpa dell’evasione sarebbe da attribuire al fatto che pur essendoci pochi agenti della polizia non sono state sospese le attività trattamentali. Che sono le uniche a dare una parvenza di legalità alla situazione qui dentro. Senza contare che la Santa Messa non rientra nelle attività che il carcere offre ai detenuti, ma è un diritto inalienabile della persona. In ogni caso mi piace richiamare il Vangelo: da un albero cattivo non si possono trarre frutti buoni. Il carcere di Poggioreale e, in generale, il carcere com’è inteso in Italia non possono garantire nulla di buono.

Il segretario generale del Sindacato di polizia penitenziaria, Aldo Di Giacomo, ha dichiarato: «A Poggioreale lo Stato ha fallito. Ora il carcere sia immediatamente chiuso e abbattuto».


Non è una proposta cattiva. Il carcere di Poggioreale è una struttura solo detentiva. Non c’è un angolo di verde, non c’è spazio per la socialità. Per far fronte alla condanna inflitta all’Italia dall’Unione Europea a causa del trattamento disumano riservato ai detenuti nelle nostre carceri, qui si sono aperti i corridoi durante il giorno. Ma è un’ipocrisia: esistono ancora celle che dovrebbero ospitare tre-quattro detenuti e arrivano a ospitarne anche 12. Le altre carceri campane e italiane pure sono sovraffollate, così risulta impossibile alleggerire Poggioreale. Il risultato è una situazione ormai ingestibile.

Presto dovrebbe sorgere un altro carcere in Campania, che alleggerirebbe gli altri penitenziari... 


Ma vede, nemmeno questa è la vera soluzione al problema. La Costituzione non parla mai del carcere. Anzi, ne parla una sola volta, ricordando che la pena non dev’essere troppo lunga. La vera soluzione sono le misure alternative al carcere, una strada intrapresa da dieci anni dall’arcidiocesi di Napoli col centro di pastorale carceraria. La mia esperienza personale nel centro e le statistiche ci dicono che l’80 per cento di coloro che finiscono di scontare la pena in carcere torna a delinquere, mentre la recidiva scende al 10% per chi termina di scontarla in altre strutture che rispondono meglio alla funzione rieducativa della detenzione. Serve un percorso verso un modello non repressivo, che troppi governi hanno promesso e mai realizzato. Per paura di perdere consenso.


Antonio Averaimo, Avvenire




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