Le parole dei pontefici per la processione del Corpus Domini
di Antonio Tarallo
Il grande ostensorio procede tra la fiumana di gente, di fedeli, o semplici curiosi. Il silenzio, e le preghiere, accompagnano il Santo Padre nella maestosa processione, con davanti quel “Corpo” che è Vita. Processione, ricca di significati, di importanti simboli. Le immagini della processione del Corpus Domini vivono nei ricordi di ognuno di noi. Basterebbe ripescare le emozioni in quello che gli americani chiamano background, il nostro tessuto sociale, ricco di eventi, di avvenimenti vissuti. In due parole: il nostro passato. E questo passato si appresta a ripresentarsi, a riprendere vita, domenica prossima, il 23 giugno, quando Papa Francesco si recherà nella periferia romana di Casal Bertone per la consueta processione. Il Santissimo Sacramento sarà il “protagonista” indiscusso di questo importante momento della Chiesa.
Da quasi quarant’anni, con Giovanni Paolo II, l’uso di celebrare il Corpus Domini nella cattedrale di San Giovanni in Laterano era diventato consuetudine. Dal 1982, in maniera continuativa, Papa Wojtyła volle che l’adorazione eucaristica per le vie della città si svolgesse tra le basiliche di San Giovanni in Laterano e di Santa Maria Maggiore. Francesco ha rotto la tradizione della basilica capitolina, ma – in una certa maniera – ha dato seguito all’iniziativa che fu di Paolo VI di portare il Corpus Domini, nelle periferie. Fu, infatti, nel 1968 che Papa Montini celebrò la festa ad Ostia, davanti alla chiesa di Maria Regina Pacis. In quella occasione, Paolo VI, pronunciò parole di alta poesia teologica:
“Intende forse questa celebrazione costituire una dimostrazione, un confronto nei riguardi delle altrui differenti opinioni? No, certo, perché il velo stesso sacramentale, che contiene e nasconde la divina presenza, non si apre che a coloro che vogliono, a coloro che credono; l’accesso è riservato e insieme libero; la fede si presenta, non si impone; e ciò che essa oggi presenta è simpatia umana, è amore. Noi dobbiamo riflettere un istante a questo riverbero eucaristico sul mondo, alla cui attenzione mostriamo il nostro pane misterioso, ed osservare come l’unica luce che emana da esso, la presenza sacramentale di Gesù, si rifranga, posandosi sulla scena umana circostante, in tanti colori, cioè in tanti aspetti quante sono le virtualità, cioè le possibilità di sviluppo, le aspirazioni, i bisogni dell’umanità”.
Giovanni Paolo II, che sente profondamente il legame tra il Vescovo di Roma, e la Città Eterna, durante l’omelia pronunciata l’11 giugno 1998, tiene a precisare il significato tutto “capitolino” di questa festa-processione.
“La processione che oggi compiremo al termine della Santa Messa evoca con eloquenza il cammino di Cristo solidale con la storia degli uomini. Significativamente Roma è chiamata "Città eterna", perché in essa si rispecchiano mirabilmente diverse epoche della storia. In modo speciale, essa custodisce le vestigia di duemila anni di cristianesimo. Alla processione, che ci condurrà da questa Piazza alla Basilica di Santa Maria Maggiore, sarà idealmente presente l'intera Comunità cristiana di Roma stretta attorno al suo Pastore, con i Vescovi collaboratori, i sacerdoti, i religiosi e le religiose e le varie rappresentanze delle parrocchie, dei movimenti, delle associazioni e delle confraternite. (…) Gesù è con noi, cammina con noi e sostiene la nostra speranza. "Tu cammini attraverso i secoli", gli diciamo, richiamando alla memoria ed abbracciando nella preghiera quanti lo seguono con fedeltà e fiducia. Al tramonto ormai di questo secolo, attendendo l'alba del nuovo millennio, anche noi vogliamo unirci a questo immenso corteo di credenti. Con trasporto ed intima fede proclamiamo: "Tantum ergo Sacramentum veneremur cernui...". "Adoriamo il Sacramento che Dio Padre ci donò. Nuovo patto, nuovo rito nella fede si compì. Al mistero è fondamento la parola di Gesù"”.
Benedetto XVI, nella sua omelia nella Basilica di San Giovanni in Laterano, il 26 maggio 2005, cercherà di sottolineare il famo passo dell’Evangelista Matteo, “Prendete e mangiatene tutti”:
“Nella processione del Corpus Domini, accompagniamo il Risorto nel suo cammino verso il mondo intero. (…) E, proprio facendo questo, rispondiamo anche al suo mandato: "Prendete e mangiate... Bevetene tutti". Non si può "mangiare" il Risorto, presente nella figura del pane, come un semplice pezzo di pane. Mangiare questo pane è comunicare, è entrare nella comunione con la persona del Signore vivo. Questa comunione, questo atto del "mangiare", è realmente un incontro tra due persone, è un lasciarsi penetrare dalla vita di Colui che è il Signore, di Colui che è il mio Creatore e Redentore. Scopo di questa comunione è l’assimilazione della mia vita alla sua, la mia trasformazione e conformazione a Colui che è Amore vivo. Perciò questa comunione implica l’adorazione, implica la volontà di seguire Cristo, di seguire Colui che ci precede. Adorazione e processione fanno perciò parte di un unico gesto di comunione; rispondono al suo mandato: "Prendete e mangiate"”.
Papa Francesco sceglie le periferie romane per portare in processione il Corpo di Gesù. Quella del 2018 è a Ostia, nella chiesa di Santa Monica. E’ il 3 giugno.
“L’Eucaristia è un alimento semplice, come il pane, ma è l’unico che sazia, perché non c’è amore più grande. Lì incontriamo Gesù realmente, condividiamo la sua vita, sentiamo il suo amore; lì puoi sperimentare che la sua morte e risurrezione sono per te. E quando adori Gesù nell’Eucaristia ricevi da Lui lo Spirito Santo e trovi pace e gioia. Cari fratelli e sorelle, scegliamo questo cibo di vita: mettiamo al primo posto la Messa, riscopriamo l’adorazione nelle nostre comunità! Chiediamo la grazia di essere affamati di Dio, mai sazi di ricevere ciò che Egli prepara per noi. Ma, come ai discepoli allora, anche a noi oggi Gesù chiede di preparare. Come i discepoli domandiamogli: “Signore, dove vuoi che andiamo a preparare?”. Dove: Gesù non predilige luoghi esclusivi ed escludenti. Egli ricerca posti non raggiunti dall’amore, non toccati dalla speranza. In quei luoghi scomodi desidera andare e chiede a noi di fargli i preparativi. Quante persone sono prive di un posto dignitoso per vivere e del cibo da mangiare! Ma tutti conosciamo delle persone sole, sofferenti, bisognose: sono tabernacoli abbandonati”.
Antonio Tarallo
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