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Quaresima, le Quarantore: dalla devozione all’adorazione

La pia pratica delle Quarantore ha origini molto remote

di Gianfranco Grieco
Credit Foto - Freepik

Quarantore sì; Quarantore no! Ritornano i giorni della memoria e risvegliano devozioni assopite che ora ritrovano spazio nel calendario delle celebrazioni nelle parrocchie. Diciamo subito che le Quarantore come la Via Crucis sono pie pratiche che fanno bene al cuore e risvegliano pensieri di amore verso il Cristo Crocifisso e l’Eucaristia come voleva frate Francesco.

La pia pratica delle Quarantore ha origini molto remote ed è da trovarsi nella pietà popolare di fare memoria, durante la settimana santa, delle quaranta ore che il Corpo di Gesù riposava nel sepolcro. Nel corso di questo arco di tempo i fedeli rimanevano in preghiera e si preparavano alla solennità della Pasqua del Signore.

A Gerusalemme, fin dal IV secolo, per il venerdì santo, era in programma il rito dell’adorazione della santa Croce che si concludeva con la reposizione in un luogo che ben presto prendeva la forma esterna del sepolcro. Tra il X e il XII secolo, si deponeva la Croce con il Crocifisso. Nei secoli successivi, nasceva nell’animo dei fedeli la devozione di porre l’Eucaristia, racchiusa in una teca, sul costato del Crocifisso, fino a quando, nel XV secolo si consolidava la scelta di adorare solo l’Eucaristia, presenza reale del Corpo del Signore Gesù. 

Nel Medioevo tutta la vita liturgica veniva fortemente marcata dalla contemplazione della passione e della morte di Cristo. Questa scelta derivava dalla drammatizzazione della liturgia, specialmente quella della passione di Cristo. Il crescente aumento dei personaggi del dramma sacro di cui la liturgia si arricchiva, portava a far perdere ai fedeli l’abitudine di accostarsi con frequenza alla santa comunione, divenendo così solo spettatori del dramma della Passio Christi.  Dal videre Cristo tanto nella rappresentazione drammatica degli ultimi giorni della sua vita terrena quanto al videre hostiam, il pane eucaristico dove si rende presente per comunicare i frutti della eterna salvezza, veniva considerato nel medioevo, il culmine di tutta la celebrazione, dal momento che tutto il Cristo è presente nel pane eucaristico. Così, la contemplazione dell’ostia suppliva alla comunione sacramentale.

Le Quarantore venivano praticate già prima del 1214 da una confraternita della Dalmazia. Questo, serviva da stimolo ad altre confraternite per riproporle anche al di fuori della Settimana Santa, soprattutto nei periodi di particolare difficoltà della vita sociale e religiosa di un Paese.  A Milano, tanto per fare un esempio, nel 1527 si promuovevano le Quarantore per chiedere aiuto al Signore, implorandone misericordia e soccorso, dal momento che la città soffriva terribili angustie, in seguito ai continui passaggi degli eserciti che devastavano tutto ciò che trovavano. Fu grande, l’opera di san Carlo Borromeo, per quanto riguarda la diffusione di questa pia devozione, tanto che ne regolarizzò la pratica promuovendola in ogni chiesa della diocesi ambrosiana; è da tener presente poi che le avvertenze che san Carlo diede per la sua diocesi, vennero prese in considerazione anche in altri posti dell’Italia. Inoltre, grazie all’opera di promozione dei Frati Minori Cappuccini, ben presto le Quarantore presero piede in gran parte della nazione italiana. La pratica delle Quarantore, pertanto, nata nel contesto della Settimana Santa, divenne una forma privilegiata di preghiera attraverso la quale si chiedeva l’aiuto di Dio in situazioni particolarmente difficili. Così, le Quarantore si caratterizzarono come pia pratica avente lo scopo di adorare nell’Eucaristia i misteri della passione e della morte di Gesù e assunsero infine il carattere di adorazione comunitaria di Gesù-Eucaristia, centro della vita cristiana della comunità e fonte del suo spirituale rinnovamento.

L’uso di deporre la divina Eucaristia nel costato del Crocifisso, devozione che è alla base dei cosiddetti sepolcri, è stata abolita dal Concilio Vaticano II e in una Lettera della Congregazione per il Culto Divino  e la Disciplina dei Sacramenti (anno 1988numeri  44-57) è stato ribadito il divieto di usare lo stesso nome di sepolcro nell’indicare l’altare della reposizione nel giovedì santo, dal momento che la cappella della reposizione viene allestita non per rappresentare la sepoltura del Signore, ma per custodire il pane eucaristico, segno della presenza di Cristo vivo, per la comunione che viene distribuita a conclusione della liturgia del Venerdì santo.

Per concludere: adorare la presenza eucaristica del Signore risorto significa riconoscerlo presente in mezzo ai suoi discepoli con i quali ha scelto di restare in comunione: “Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20); “Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio lodando Dio” (Lc 24, 52-53). 

Quarantore e Via Crucis vogliono fare memoria di questa “presenza” che allieta soprattutto i giorni tristi e bui del nostro vissuto quotidiano.



Gianfranco Grieco

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