Araldini, sull’esempio di Francesco
Spazio e accoglienza nella fraternità
Essere francescani è un dono che, come ogni cosa bella, richiede gioia, una gran fatica, tanta costanza e molto impegno. Si lavora affinché il carisma diventi parte integrante del nostro agire, affinché il francescanesimo non venga considerato una medaglietta da applicare sul nostro apparire ma una dote naturale del nostro essere, ben amalgamata con ogni altro aspetto della nostra persona.
Il carisma, sia esso francescano o di qualsiasi altra foggia, è un dono ricevuto, come l’etimologia stessa della parola suggerisce: sta a noi imparare a riconoscerlo, accoglierlo e spacchettarlo, come ogni regalo a noi destinato. Ci sono pacchetti incartati con disegni e colori accattivanti, con nastri arricciati, che non vediamo l’ora di aprire; ci sono pacchetti un po’ meno attraenti; ci sono pacchetti che non vogliamo scartare perché non ne abbiamo voglia o perché crediamo di non meritarli.
Questi doni, però, se sono destinati davvero a noi, troveranno il tempo e la pazienza di aspettarci, conservando per sempre la loro essenza ma assumendo la forma che in ogni periodo della nostra vita ci apparirà più adatta. È per questo che come famiglia francescana, come GiFra e OFS, cerchiamo di costruire una realtà fraterna in cui i bambini e i ragazzi possano scoprire quale dono, quale carisma, il Signore sta offrendo loro.
Il cammino dell’araldinato inizia da piccoli: a partire dai 6 anni i bambini sono accolti e guidati dagli animatori della fraternità della famiglia francescana. I ragazzi della Gioventù Francescana (GiFra) e gli adulti dell’OFS (Ordine Francescano Secolare) si mettono a disposizione per la crescita del cammino spirituale degli araldini che vengono loro affidati, sotto la necessaria e irrinunciabile guida dei frati assistenti.
Fino ai 13 anni (dai 14 in su si apre per loro la possibilità di iniziare la GiFra), i ragazzi sono accompagnati in un cammino di crescita in fraternità, aiutati a riconoscere la propria vocazione all’interno delle mura senza confini della famiglia francescana. Si scopre insieme cosa vuol dire fraternità, creato, amore, sacramenti. Ci si allena a vivere nel mondo come membri di una grande comunità dal cuore connesso. Si impara il rispetto e si dona incondizionatamente. Ma, soprattutto, si crea una rete, ci si supporta, ci si incoraggia e ci si rimprovera se necessario, come in tutte le famiglie che davvero si amano.
Gli animatori, indipendentemente dalla loro età, si impegnano a essere esempio costante di umanità, di disponibilità, di allegria e di fragilità, così che i ragazzi possano imparare ciò che vivono e non ciò che viene loro raccontato. L’esperienza dell’araldino è di diretto contatto, a tu per tu con il Signore che si manifesta in ogni fratello, anche in quello che nel quotidiano saremmo pronti a evitare, perché Dio trova il modo di farsi scorgere anche laddove ci sembra non ci possa essere nulla che ce lo ricordi. Persino nel momento in cui ci sentiamo diametralmente opposti al sogno di Dio sulla nostra vita, nel mondo dell’araldinato saranno i fratelli a ricordare che ciascuno è in cammino per cercare felicità, per scoprire dove è nascosta la propria vocazione.
Essere araldini è un percorso individuale ma che si condivide con la fraternità, la quale lo custodisce e lo alimenta. Nel corso dell’anno fraterno si procede spediti tra momenti formativi, preghiere, feste e riti che scandiscono tappe fondamentali per la crescita. Ogni araldino è “presentato al tempio” nel giorno della Candelora: in questa occasione (la festa dell’Eccomi) sono le famiglie che, durante la celebrazione eucaristica, affidano i loro figli alla madre Chiesa e agli animatori e agli assistenti che hanno scelto di prendersi cura della spiritualità dei loro ragazzi. C’è quindi una reciproca fiducia tra famiglia di sangue e famiglia francescana, affinché gli araldini possano costruire la loro vita al sicuro, in una reale comunione di intenti tutti volti al bene.
Ai bambini e ragazzi viene poi chiesto un piccolo impegno nel corso del loro anno fraterno: nella tappa della Promessa sono loro a scegliere di essere fratelli delle persone che Dio ha posto sulla loro strada. Non sono più i genitori a decidere per loro ma i ragazzi stessi che promettono di scegliere una vita volta alla fraternità, al servizio, alla cura degli ultimi, sempre nella misura giusta che la loro età richiede. Impareranno perciò, da questo punto di partenza, a essere francescani a scuola con il compagno mal sopportato, a casa e in famiglia con i propri compiti di figli. La bellezza del cammino dell’araldinato risiede proprio nella custodia che ciascun ragazzo si sente chiamato a donare nei confronti degli altri.
Essere fratelli è una chiamata che, per natura, ci spinge a guardare al di fuori da noi stessi, a ciò che è altro da noi. Così gli araldini vivono la chiamata individuale in una dimensione collettiva, in cui l’altro veglia sulla nostra felicità. E l’altro può abitare proprio accanto a me, nella stessa città o solo nella stessa regione, ma l’importante è che abiti il mio stesso tempo e la mia stessa vocazione. Perché essere francescani non ha confini e la fraternità è il mondo intero. È per questo che gli araldini si incontrano non solo a livello locale e regionale, ma anche a livello nazionale, nel tradizionale convegno estivo che si tiene a luglio in quella che a ogni francescano piace chiamare “casa”: ad Assisi.
È lì che l’abbraccio di Francesco che ci ha fatti innamorare e sentire finalmente al nostro posto ci raggiunge in maniera inequivocabile, calda e forte. Il cuore di ciascuno ha bisogno di costanti emozioni sussurrate, di amori alimentati da una fiammella e non da un fuoco violento che bruci senza misura; talvolta però è necessario fare il pieno di calore, farsi abbracciare in maniera invadente, abbattere le barriere e i limiti che noi stessi ci imponiamo. La fraternità sa essere tutto: delicata come una carezza e decisa come uno rimprovero.
Ci spinge e ci trattiene. Veglia sul nostro passo, ci incoraggia. Alimenta la felicità e rimpicciolisce i dubbi. Non si imbarazza e a volte fa male, ma solo perché tiene troppo al nostro bene. E non si ferma: non c’è traffico, imprevisto, guerra o pandemia che tenga. È un luogo senza mura in cui abitare, fatto di braccia e occhi e bocche e mani che sono l’unica certezza costante in una storia in continuo divenire.
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