VENERDI' SANTO, CON SAN FRANCESCO AI PIEDI DELLA CROCE
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L’adorazione per la Croce ci fa intravedere le vere profondità della povertà
Assieme all’umiltà dell’incarnazione, il Serafico Padre ha presente la carità della passione di Gesù Cristo. Egli non riesce a pensare ad altro[1]. La sua unica gloria è stata nella Croce del Signore. Così prega davanti al Crocifisso: O alto e glorioso… Mentre un giorno pregava, isolato dal mondo, ed era tutto assorto in Dio, nell’eccesso del suo fervore, gli apparve Cristo Gesù, come un confitto in Croce. Un’altra volta Cristo dalla Croce gli parlò mentre era intento a pregare; e dalla bocca della stessa immagine fu invitato a riparare la casa del Signore. Gesù Crocifisso dimorava stabilmente nell’intimo del suo spirito, come borsetta di mirra posta sul suo cuore. In lui bramava trasformarsi totalmente, per eccesso e incendio di amore. Il ricordo della passione di Cristo s’impresse così vivamente nelle più intime viscere del suo cuore, che, quando gli veniva alla mante la crocifissione di Cristo, a stento poteva trattenersi, anche esteriormente, dalle lacrime e dai sospiri. San Francesco esprime il suo amore per la passione e la Croce recitando l’Ufficiodella Passione da lui stesso composto.
L’adorazione per la Croce ci fa intravedere le vere profondità della povertà. Proviamo a rileggere l’amore di Francesco per il Crocifisso sul versante della creatura. L’uomo è un essere di grandezza – immagine di Dio colmata di ogni sorta di ricchezze – ma questa grandezza è un dono gratuito ed egli non può inorgoglirsene. Solamente quando riconosce i propri limiti di creatura, confessandosi malato e peccatore, viene verso di lui, per guarirlo e salvarlo, colui che l’ha amato di un amore santo[2].
Francesco ha capito che l’unica realtà propria dell’uomo è la sua condizione di creatura che ne fa un essere limitato, effimero, mortale, capace del male. Gloriarsene significa assumere questo fatto, vuol dire riconoscersi povero e mendicante, e di conseguenza aperto e offerto alla pienezza della tenerezza misericordiosa del Padre. Tanto più che l’uomo non è solo a portare questo peso delle molteplici povertà umane, questa santa Croce così pesante. Essa è diventata la santa Croce dacché Dio stesso nella persona del figlio Gesù se ne è fatto carico, assumendo in tutto la condizione umana. La Croce soltanto è l’ultima esegesi di Dio che qui, una volta per tutte, si manifesta come l’Amore. Nelle parole che l’uomo Gesù in croce versa come gocce di sangue, il Padre parla la sua Parola più alta e definitiva: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16).
Per Francesco, chi si allontana anche solo di un passo da questa autoesegesi – così dice tutta la prima Lettera di Giovanni – non è più cristiano, o non ha compreso l’amore di Dio, né il suo proprio essere persona. Non si evidenzierà mai abbastanza che questa esegesi di Dio – la passione di Cristo – è del tutto priva di analogie in tutto il mondo delle religioni. Qui Dio manifesta la sua intimità più profonda nel soffrire, in una sofferenza accettata volontariamente, in una sofferenza che assume su di sé l’altrui colpa. Con Gesù, il Figlio del Padre, è scandagliata tutta la profondità dell’amore divino, la cui prima fonte è il Padre. Il cuore trapassato dopo la morte si squarcia in una ferita che penetra fino al cuore della Trinità e ci rivela il vero volto dell’uomo: l’Amore!
L’Amore fu l’essenza della vita di Francesco; egli lo visse in tutto ciò che fece, lo proclamò in ogni sua parola. L’Amore gli dette un potere maggiore di quello dei papi più potenti, una devozione più viva di quella dei monaci più devoti, una saggezza superiore a quella dei dottori più colti; lo rese più lieto fra la gente lieta, il più cavalleresco di tutti i cavalieri e il più immortale fra i trovatori. Il suo amore per i poveri e i sofferenti si identifica, d’ora in poi, con l’amore per l’uomo-Dio morto di Croce, Cristo.
[1] Cf. Leggenda prima di Tommaso da Celano 84: FF 467.
[2] Cf. Regola non bollata 23,3: FF 63.
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