Franco Cardini
AD OGNUNO IL SUO FRANCESCO
È facile adattare la figura di Francesco ai nostri giorni: sono stati in molti a sottolinearne la “modernità”. D’altronde, ciò non accade senza un motivo: il Povero d’Assisi ha veramente rinnovato la spiritualità cristiana, e in questo senso egli stesso è “moderno”. Ciò va tuttavia correttamente inteso e contestualizzato, se non si vuole incorrere in anacronismi ridicoli o in grottesche banalità. Il carattere “universale” di Francesco non consiste nell’essere un uomo per tutte le stagioni, ma nell’aver detto e fatto cose che, nell’irripetibile specificità del suo tempo, sono in grado di suggerire qualcosa a tutte le culture. L’amore, la pace, la solidarietà, il rispetto per i più deboli, la gentilezza, sono caratteri profondamente umani che si riflettono in ogni tempo. Ma ciascuna epoca li ha interpretati a suo modo. Per esempio, l’animalismo contemporaneo – che può essere considerato estensione e sviluppo abbastanza “naturali” della filantropia e dell’umanitarismo, cui si sono aggiunti però valori desunti da altri sistemi socioculturali e socioreligiosi e considerazioni fisiologiche di varia natura – non può essere prestato, nei suoi connotati odierni, a Francesco; né egli può esserne indicato tantomeno come il suo fondatore. La nostra è un’età di “diritti” che il genere umano, sulla base di un presupposto occidentale, si è autoreferenzialmente attribuito: si tratta, in altri termini, una convenzione che si è poi estesa indefinitivamente nel secolo scorso (diritti del bambino , degli ammalati, degli animali, della natura, dell’ambiente e via dicendo). Il tempo di Francesco è dominato dall’ordine divino e dal disegno provvidenziale: nell’antropologia stabilita dalla Bibbia non esistono diritti, bensì privilegi. L’uomo è il padrone della natura in quanto Dio l’ha costruita attorno a lui e gliel’ha assoggettata (la cerimonia del “dare il nome agli animali” ha questo significato. Nel mondo cristiano esistono, certo, vegetariani e addirittura “vegani”: ma non per il rispetto dovuto alla natura e agli animali, bensì come atto di penitenza che quindi non dipende dall’affetto e dal rispetto dovuto agli animali, ma alla devozione dovuta a Dio. Questo è il senso dell’astensione dalle carni e anche dai prodotti di animali viventi (latte e derivati, uova eccetera), almeno per esempio in alcune congregazioni monastiche come i camaldolesi, i cistercensi e così via: altra origine ha forse il veganesimo dei catari, ispirato a una cosmologia di probabile origine induista. Tra vegetarianesimo/veganismo cristiano e vegetarianesimo/veganismo contemporaneo d’ispirazione per esempio neobuddhista o new age, c’è una grande somiglianza formale e una profondissima differenza sostanziale. E, ad ogni modo, contrariamente a una falsa opinione molto diffusa, Francesco non era nemmeno vegetariano. Non avrebbe mai potuto esserlo: la fraternitas cui egli apparteneva era fatta di mendicanti: e un mendicante non può scegliere quel che gli si offre da mangiare. Anzi, vi sono fonti attendibili che ci presentano un Francesco che mangia carne, e che anzi – per quanto lo faccia di rado – mostra di apprezzarla. Il suo senso di affetto e di fratellanza rispetto agli animali e alle cose, quello che si riscontra nel Cantico delle creature e in molti episodi che lo riguardano nelle fonti e lo mostrano tenero e sollecito nei confronti di vari animali, non gl’impedisce di aderire al disegno divino che vuole l’uomo creatura privilegiata e stima gli animali creati al suo servizio e nel suo interesse. Non si può sradicare il Povero d’Assisi dal suo tempo né prestargli anacronisticamente un modo di pensare che non poteva essere il suo.
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