Grado Giovanni Merlo
Leggere il Testamento di Francesco (3)
Dopo aver dichiarato la sua totale sottomissione ai «sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa romana», anche a quelli «poverelli», frate Francesco si spinge a un'affermazione che non consente dubbi: «Ed essi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare, come miei signori». Perché queste parole? La risposta sta in quanto segue, che accentua la dimensione subordinativa. «E non voglio considerare in essi il peccato, poiché in essi vedo il Figlio di Dio, e sono miei signori»: la “signoria” del Cristo si trasferisce nei sacerdoti. La ragione di fondo consiste in una fede eucaristica totalizzante: frate Francesco non vede in questo mondo alcunché di corporeo («corporaliter») dell'Altissimo Figlio di Dio «se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo» quale si concretizza nella celebrazione eucaristica che è prerogativa esclusiva del sacerdozio, ovvero dei sacerdoti che celebrano l'eucaristia e la amministrano agli altri.
Attraverso il centrale avvenimento dell'Incarnazione che si rinnova nella corporeità delle specie eucaristiche, nell'esperienza e nelle convinzioni di frate Francesco, la realtà sacerdotale trascende l'individualità del singolo prete, i cui comportamenti umani passano in secondo piano o addirittura diventano insignificanti rispetto all'ordine da essi ricevuto «secondo la forma della santa Chiesa romana», individuata come garante istituzionale dell'autentica tradizione cristiana. In frate Francesco c'è un impellente bisogno di “concretezza divina” che soltanto il pane e il vino consacrati sono in grado di soddisfare, perché soltanto essi danno una visibilità «in questo secolo»al divino, che si esprime nei «santissimi misteri»: per i quali sopra ogni altra cosa nutre venerazione e per i quali prevede la collocazione in «luoghi preziosi». Sembrerebbe, dunque, che il “bene” e il “bello” qui coincidano, perché entrambi rientrano nella positività delle cose create.
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