Grado Giovanni Merlo

Leggere il Testamento di frate Francesco (4)

Il bisogno di 'concretezza divina' di frate Francesco e il conseguente rispetto di tutto ciò che di quella concretezza è segno, si manifestano anche nella particolare venerazione per i «santissimi nomi e parole scritti», che devono trovare collocazione «in un luogo onesto» quando siano rinvenuti «in luoghi indegni». Il passaggio dalle cose alla Parola sollecita il discorso su «tutti i teologi e coloro che somministrano le santissime parole divine», per i quali occorre nutrire onore e venerazione, poiché sono «coloro che ci somministrano lo spirito e la vita». Queste ultime parole rinviano al vangelo di Giovanni (6, 63: Lo Spirito è quello che vivifica, la carne non giova a nulla. Le parole che vi ho detto sono spirito e sono vita).
Le frasi finali della prima parte del Testamento richiedono di essere ponderate con attenzione, proprio in rapporto tra la visibilità delle forme scritte che rimandano al Divino e le parole dette che alimentano la vita evangelica. La fissità della rappresentazione scrittoria si vivifica nell'ascolto della Parola, i cui 'specialisti' hanno l'altissimo e impegnativo ufficio di dare, distribuire agli altri le parole che sono spirito e vita. Tale è il loro compito specifico, esaltato - si badi - da un uomo che si dichiarava «idiota», ossia persona semplice e priva di istruzione. Tuttavia, non si dimentichi che frate Francesco già aveva messo in guardia coloro che avessero «tanta sapienza quanta Salomone» dal non sentirsi 'superiori' all'ultimo dei sacerdoti «poverelli». La riflessione e lo studio della Scrittura non sono un esercizio intellettuale e una forma di affermazione personale, bensì un servizio che rinnova l'efficacia salvifica delle parole della buona novella.

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