Grado Giovanni Merlo
Leggere il testamento di frate Francesco (5)
Dopo il ricordo della sua conversione e della sua “fede” nelle chiese e nei sacerdoti, con l’affermazione della centralità dell’eucaristia e della Parola di Dio, frate Francesco concentra il suo discorso sul passaggio dalla dimensione personale dell’esperienza religiosa a quello fraternale. Anche l’arrivo non cercato di fratelli/frati è rimandato a un dono della Grazia: «E dopo che Dio mi diede dei fratelli…». Sembrerebbe che frate Francesco non avesse alcuna intenzione di trovare dei compagni nella sua avventura religiosa, tanto da non avere idea alcuna intorno alla fisionomia da dare alla nuova piccola fraternità raccoltasi intorno a lui, né da ricevere suggerimenti adatti a trovare una qualche soluzione istituzionale che lo soddisfacesse: «Nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare». Ancora una volta sovviene la Grazia di Dio: «Ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovessi vivere secondo il modello del santo vangelo». Il vero revelavit/rivelò non va inteso nel senso che rimandi a una sorta di “illuminazione mistica”, ma in maniera concreta: ossia, è la scoperta del vangelo che gli indica di vivere secondo il vangelo. Dio si rivela attraverso il vangelo e il vangelo è rivelazione di Dio.
La decisione di «vivere secondo il modello del santo vangelo» è definitiva e totalizzante. Non può rimanere una dichiarazione di intenti. Necessita di essere formalizzata. Perciò frate Francesco fa fissare nello scritto il suo proposito di vita «con poche parole e in modo semplice» e si rivolge al papa affinché glielo «confermi»: «Ed io con poche parole e in modo semplice lo feci scrivere e il signor papa me lo confermò». Le laconiche espressioni del Testamento, che sottintendono un momento decisivo della esistenza della primitiva fraternità raccoltasi intorno a frate Francesco, pongono non pochi interrogativi di non poco conto e di non facile soluzione. Perché rivolgersi al vertice della cattolicità romana? Perché non limitarsi all’approvazione del vescovo d’Assisi? Le domande si moltiplicano. Perché non seguire una delle tante forme istituzionali in cui era disciplinata la vita religiosa? Perché questa forte consapevolezza della propria “novità”?
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