Edoardo Scognamiglio
Che cosa sarebbe la Chiesa senza Francesco?
In occasione dell’Anno dedicato alla Vita consacrata (2014-2015), papa Francesco ha consegnato a tutti i religiosi una bella e semplice Lettera apostolica (A tutti i consacrati [21-11-2014]) in cui rivela quali sono gli obiettivi, le attese e le domande fondamentali che interpellano anche noi francescani.
1. Ha ancora senso la Vita consacrata?
Ha ancora senso la Vita consacrata? Per papa Francesco la risposta è affermativa. A dispetto dei profeti di sventura, che da lungo tempo ne hanno decretato la fine, Bergoglio ha esortato a rivestirsi di Gesù Cristo e a indossare le armi della luce (cf.Rm 13,11-14) – restando svegli e vigilanti –,per continuare e riprendere il cammino con la fiducia nel Signore.
I consacrati sono un dono grande del Signore per la Chiesa cattolica. Lo sguardo di papa Francesco è lungimirante – di fede – e più profondo delle tante analisi e statistiche che, da lungo tempo, mettono in crisi il senso stesso della vita consacrata, sia nei più giovani, che non sanno come gestire il carisma, le strutture e le opere loro affidate dalle generazioni precedenti, sia nei più anziani, che si muovono in grande difficoltà quando nelle comunità devono imparare a condividere progetti, vita apostolica, povertà e obbedienza con chi ha dentro di sé grandi aspettative ma ideali ancora troppo acerbi di fraternità.
2. Una lettura di fede o teologica
Solamente una lettura profondamente teologica può ridare dignità all’identità e alla missione dei consacrati nella Chiesa cattolica e nel mondo. Una lettura che spesso, gli stessi consacrati, sottovalutano e, in alcuni casi, negano, privilegiando le interpretazioni a carattere sociologico, per le quali ogni sforzo di rinnovamento e di cambiamento appare inutile. Certamente, una riflessione solo speculativa sulla vita consacrata non aiuta a superare il gap nel quale tanti istituti e ordini religiosi sono caduti; perché, tante volte, l’abbandono, il calo delle vocazioni, l’anzianità di molti religiosi, la fatiscenza delle strutture e la loro non facile gestione gettano anche i consacrati più volenterosi e ben intenzionati nello sconforto. Per questo, occorre una lettura anche ecclesiologica e più missionaria e pastorale della vita consacrata.
Papa Francesco si chiede: «Cosa sarebbe la chiesa senza san Benedetto e san Basilio, senza sant’Agostino e san Bernardo, senza san Francesco e san Domenico, senza sant’Ignazio di Loyola e santa Teresa d’Avila, senza sant’Angela Merici e san Vincenzo de Paoli?»(III,2).La vita consacrata ha plasmato – in mille modi – l’intero cristianesimo, sia in Oriente che in Occidente.
3. Gli obiettivi di questo Anno
Il primo obiettivo di questo anno, per papa Francesco, è guardare il passato con gratitudine. Si tratta di fare memoria grata del dono della chiamata e della ricca storia carismatica di ogni istituto. È necessario ritornare alla fonte, all’esperienza degli inizi. È indispensabile raccontare la propria esperienza vocazionale. Anche san Francesco, un po’ prima della sua morte, ripensa all’incontro con Cristo avvenuto attraverso i lebbrosi, riscoprendo in tale evento la grazia del Signore. La memoria fa celebrare, raccontare, e apre il cuore alla speranza, alla riconoscenza. La memoria fa cantare, lodare, ringraziare, come Maria nel Magnificat. Spesso, siamo degli smemorati, anzi, degli ingrati. Non raccontiamo più la nostra vocazione, l’esperienza viva di Gesù Cristo. Il Poverello, in ogni circostanza, lodava e ringraziava l’Altissimo Signore: è stato il cantore di Dio.
Il secondo obiettivo, per papa Francesco, è quello di confessare con umiltà, e insieme con grande confidenza in Dio Amore (cf. 1Gv 4,8), la propria fragilità per viverla come esperienza dell’amore misericordioso del Signore. Il Poverello, sempre, davanti al Creatore e all’Onnipotente Signore, si sentiva come fragile creatura e riconosceva che Dio gli aveva parlato mentre era “nei peccati” e amava ripetere: “Chi sei tu, o Signore, e chi sono io?”.
Il terzo obiettivo è di abbracciare il futuro con speranza. Ciò richiede una capacità critica o di discernimento tale da andare oltre le difficoltà che incontra la Vita consacrata nelle sue varie forme. Il papa fa riferimento alla diminuzione delle vocazioni e all’invecchiamento, soprattutto nel mondo occidentale, ai problemi economici a seguito della grave crisi finanziaria mondiale, alle sfide dell’internazionalità e della globalizzazione, alle insidie del relativismo, all’emarginazione e all’irrilevanza sociale... Sono incertezze che condividiamo con tanti nostri contemporanei ecostituiscono il locus theologicusin cui Dio parla e attua la nostra speranza, frutto della fede nel Signore della storia che continua a ripeterci: «Non aver paura […] perché io sono con te» (Ger 1,8).La speranza di cui parla il papa non si fonda sui numeri o sulle opere, ma su Colui nel quale abbiamo posto la nostra fiducia (cf. 2Tm 1,12) e, per il quale,«nulla è impossibile» (Lc 1,37). È la stessa speranza che Francesco d’Assisi ripose nel Dio-Crocifisso, in quell’alto e glorioso Dio a cui chiese l’illuminazione del cuore. Prima di morire, Francesco chiese ai suoi frati di cominciare a fare penitenza, ribadendo che egli aveva compiuto – fatto – la sua parte e che ognuno di loro aveva da compiere la propria.
4. Con la passione di san Francesco
Giocando sull’intreccio tra passato, presente e futuro, papa Francesco chiede a tutti i consacrati di vivere«il presente con passione». Ciò significa diventare “esperti di comunione”. In una società dello scontro, della difficile convivenza tra culture diverse, della sopraffazione sui più deboli, delle disuguaglianze, siamo chiamati a offrire un modello concreto di comunità che, attraverso il riconoscimento della dignità di ogni persona e della condivisione del dono di cui ognuno è portatore, permetta di vivere rapporti fraterni. Ne siamo capaci? Veramente siamo esperti di comunione, di fraternità e di dialogo? San Francesco divenne strumento di pace e di comunione non solo per la sua gente o per i suoi frati, ma per ogni creatura, finanche per il lupo di Gubbio e per gli stessi saraceni… L’incontro che Francesco ebbe con il Sultano è diventato un punto di riferimento costante per il dialogo non sempre facile con i fratelli musulmani.
Tra le domande dalle quali bisogna lasciarsi interpellare, secondo papa Francesco, ce ne sono alcune che toccano il cuore della vita francescana e della Regola voluta dal Poverello: ««Come ci lasciamo interpellare dal Vangelo? Esso è davvero il “vademecum” per la vita di ogni giorno e per le scelte che siamo chiamati ad operare?». Seguono altre domande sulla fedeltà alla missione che ci è stata affidata. «I nostri ministeri, le nostre opere, le nostre presenze, rispondono a quanto lo Spirito ha chiesto ai nostri fondatori, sono adeguati a perseguirne le finalità nella società e nella chiesa di oggi? C’è qualcosa che dobbiamo cambiare? Abbiamo la stessa passione per la nostra gente, siamo ad essa vicini fino a condividerne le gioie e i dolori, così da comprendere veramente le necessità e poter offrire il nostro contributo per rispondervi?». San Francesco operò una trasformazione della Chiesa cattolica convertendo se stesso, vivendo fino in fondo la fedeltà al Vangelo e all’uomo.
5. I cinque impegni
Per questo anno di grazia dedicato alla Vita consacrata, papa Francesco si attende almeno cinque impegni da noi che lo stesso Poverello realizzò con grande zelo.
Il primo è di essere persone felici, contente, realizzate, gioiose, perché «Dove ci sono i religiosi c’è gioia». Siamo chiamati a sperimentare e mostrare, come san Francesco, che Dio è capace di colmare il nostro cuore e di renderci felici, senza bisogno di cercare altrove la nostra felicità; che l’autentica fraternità vissuta nelle nostre comunità alimenta la nostra gioia; che il nostro dono totale nel servizio della Chiesa cattolica, delle famiglie, dei giovani, degli anziani, dei poveri ci realizza come persone e dà pienezza alla nostra vita.
Il secondo impegno è relativo alla profezia: «Mi attendo che “svegliate il mondo”, perché la nota che caratterizza la vita consacrata è la profezia». Il profeta è la coscienza critica d’Israele, il vento nuovo, colui che sa discernere i segni dei tempi e leggere anche le azioni o gli interventi di Dio nella storia. San Francesco si fece voce di un Dio appassionato, innamorato dell’uomo. Noi siamo voce abitata da un altro, dall’Altissimo. Svegliare il mondo è possibile se anzitutto ridestiamo noi stessi, se con la preghiera e la fiducia nel Signore sappiamo muovere il bene e diffonderlo nelle comunità. La forza del male è nel nascondimento. La forza del bene è nella luce, nella rivelazione. Il male si diffonde con le chiacchiere, con i cattivi pensieri, con le gelosie, le invidie, la pigrizia. Il bene si muove con lo zelo, con la passione, con la forza di chi è innamorato e attratto dall’amore di Dio. San Francesco fece circolare attorno a sé sempre il bene, a partire con le buone e sane parole del Vangelo.
Il papa ci chiede ancora di essere “esperti di comunione”, ossia persone che vivono concretamente la “spiritualità della comunione”, indicata da san Giovanni Paolo II. In quest’ottica, la fraternità è dono e compito, progetto e missione, sfida e sacrificio da compiere. San Francesco fu convinto di questo, fino a dire che il Signore gli donò dei fratelli.
Il quarto impegno riguarda la carità: il papa si aspetta da noi«gesti concreti di accoglienza dei rifugiati, di vicinanza ai poveri, di creatività nella catechesi, nell’annuncio del Vangelo, nell’iniziazione alla vita di preghiera. Di conseguenza auspico lo snellimento delle strutture, il riutilizzo delle grandi case in favore di opere più rispondenti alle attuali esigenze dell’evangelizzazione e della carità, l’adeguamento delle opere ai nuovi bisogni». L’amore di san Francesco per gli ultimi fu infinito, pieno, vero, senza compromessi: per questo fu definito il Poverello.
Nel quinto impegno il papa chiedeche ogni forma di vita consacrata s’interroghi su quello che Dio e l’umanità di oggi domandano. Occorre dare spazio alla fantasia dello Spirito che ha generato modi di vita e opere diversi per andare verso le periferie esistenziali dell’umanità. Nelle primitive fraternità c’era spazio per i carismi di ogni frate, per i teologi e per i predicatori, per i mendicanti e per i più semplici. Ciò che contava era l’amore per i poveri e per il Signore.
Siamo pronti a vivere queste sfide e a prendere tali impegni per l’anno della Vita consacrata? Chiediamoci ancora oggi: “Cosa sarebbe la Chiesa senza Francesco?”.
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