Edoardo Scognamiglio
Le vecchiette e il teologo
Dopo tanti anni d’insegnamento in diversi centri accademici nazionali e internazionali, non sono riuscito a convincere studenti di ogni tipo (laici, religiosi, seminaristi, non credenti, etc..) e tantissimi pastori (vescovi, cardinali, superiori maggiori, etc…) che la teologia non è quella disciplina con la quale o senza la quale si resta tale e quale. In realtà, una delle ultime meditazioni mattutine di papa Francesco – quella di martedì 2 settembre, tenuta nella Cappella della Domus Sanctae Marthae –, sembra avvalorare la tesi degli studenti e dei pastori poco avvezzi allo studio della teologia. Con linguaggio semplice e diretto, fino a provocare e a urtare la sensibilità di molti intellettuali, anche la mia, papa Francesco ha detto che uno può essere un grande teologo ma non essere un cristiano perché non ha lo Spirito di Dio. Una persona può avere anche cinque lauree in teologia ma non avere lo Spirito di Dio. Come anche: studiare nelle grandi Università romane (Lateranense, Gregoriana) non garantisce l’esperienza di Dio. Ancora di più: ci sono tante vecchiette nelle nostre comunità che ci parlano meglio di un teologo perché hanno lo Spirito di Cristo. In realtà, ci sono anche tante vecchiette che, nelle nostre chiese, creano solo confusione e allontanano gli altri, soprattutto i giovani! Il papa ha indicato l’esempio di san Paolo che predicava la sapienza di Cristo crocifisso e non la sapienza umana. La critica è forte e, per certi aspetti, pungente e fuori luogo. Si sa, infatti, che la teologia è amore per la sapienza. Si tratta di rendere ragione della speranza che è in noi (cf. 1Pt 3,14). In tal senso, la teologia è un vissuto di fede che diventa pensiero interrogante, proposta di annuncio che si fa testimonianza di vita. Perché il papa si esprime così? Che cosa vuole dirci? Evidentemente, papa Francesco ci ammonisce affinché possiamo seguire la via dei piccoli e dei semplici. Se il teologo non annuncia la divina parola, ossia non diviene portatore dello Spirito di Dio, nonché donatore della vita, non è degno di essere ascoltato. Qui il papa ha copiato direttamente da san Francesco. Di fatti, il Poverello afferma nella Regola bollata 10,9: “Coloro che non sanno di lettere, non si preoccupino di apprenderle”; e, al suo vescovo Antonio (di Padova) chiede di non spegnere lo spirito della santa orazione. Per Francesco, sono uccisi dalla lettera coloro che desiderano sapere soltanto parole in modo da essere ritenuti più sapienti degli altri e possono acquistare grande prestigio e onore nella società. Per questo, a tutti i suoi frati, Francesco presenterà la via della semplicità e dell’umiltà. Sono di fatti vivificati dallo Spirito di Dio quelli che ogni cosa che sanno e desiderano sapere non l’attribuiscono al loro corpo, ma con la parola e con l’esempio la rendono all’Altissimo al quale appartiene ogni bene. C’è uno stretto legame tra l’annuncio del Vangelo e i piccoli. Questi sono molto spesso disprezzati ed emarginati, schiacciati, e aspirano a un mondo nuovo, all’avvento definitivo del Regno. In effetti, san Francesco vuole che i predicatori studino, si preparino, ma chiede a tutti, soprattutto agli uomini di grande cultura, di offrirsi nudi alle braccia del Crocifisso. Questa via della semplicità è oggi ripresa da papa Francesco che in alcun modo ha voluto demonizzare la cultura e gli studi di teologia, ma semplicemente porre in evidenza la dimensione missionaria e pratica della fede.
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